Il trimestre che si è appena concluso è stato, per i mercati azionari, tra i migliori che si ricordi.
Il nostro indice MIB ha chiuso con un rialzo di circa il 14,50%, superato solo dal Nikkei di Tokyo, cresciuto di oltre il 20%, precedendo tutti i listini dei Paesi sviluppati (Dax Francoforte + 10.4%, S&P500 + 10,3%, Cac 40 Parigi + 9,87%). Addirittura è stato, per quanto ci riguarda, il 3° rialzo più alto degli ultimi 30 anni, dopo quelli del 2015 (+ 18,77%) e del 20,19 (+ 17.32%).
Ovviamente, la domanda che tutti si pongono è se i rialzi sono destinati a durare.
Fermo restando che nessuno ha in dotazione una sfera di cristallo, qualche “azzardo” lo si può fare.
La prima considerazione riguarda i “fattori” che possono dare ulteriore “respiro” alla salita delle quotazioni. Sostanzialmente sono 2: il pressochè certo taglio dei tassi e la conferma che i mercati sono appoggiati sono una liquidità piuttosto consistente. Sul primo punto ormai sappiamo che anziché 6, come previsto in autunno, la “scure” delle Banche centrali dovrebbe fermarsi a 3, per una “limatura” di 0,75%.
Con riferimento alla liquidità, invece, se è vero che la FED e la BCE, grazie alle politiche di contenimento dei loro bilanci, “drenano” liquidità, i movimenti opposti delle 2 principali corrispondenti asiatiche (Popular Bank of China e Bank of Japan), portano ad un saldo comunque positivo, tanto è vero che l’aggregato M2, che misura la liquidità in circolazione, è aumentato, dalla fine di ottobre 23, di circa $ 3.000 MD.
Un ruolo determinante lo giocherà, ovviamente, ancora l’inflazione.
I dati di marzo (ancora allo stato di “stime”) invitano (ma già si sapeva) alla cautela. Da più parti (in ordine di tempo quello relativo al nostro Paese, dove è aumentata, a marzo, dello 0,1%, che porterebbe ad una crescita annua dell’1,3%) giungono, infatti, segnali di un rialzo dei prezzi. Aumento solo in parte dovuto all’aumento dei prezzi energetici (il loro ribasso era stato il motivo principale del calo dei prezzi fatto registrare a gennaio e febbraio rispetto all’analogo periodo dello scorso anno), mentre un ruolo più importante potrebbe averlo giocato il parziale blocco del canale di Suez, senza contare gli adeguamenti salariali, che hanno consentito di sostenere i consumi). Ovvio che se il calo dei prezzi dovesse confermarsi così “resistente” potrebbero verificarsi conseguenze “inattese” o che, per lo meno, potrebbero “disturbare” un poco un quadro per molti versi quasi perfetto”: bassa inflazione, taglio dei tassi, “soft landing” o addirittura “no landing”, con l’economia mondiale (in principal modo quella americana) che continua imperterrita a rimanere sostenuta, utili aziendali che non solo non calano, ma che potrebbero ancora crescere. Per non parlare dei temi geopolitici, sempre pronti a prendersi la scena e a “scombinare” le carte.
Una considerazione che gli investitori iniziare a fare è quale è il mercato più conveniente.
Se è vero che quello USA è quello che continua a marciare nella maniera più spedita (grazie anche all’anno elettorale, che “spinge” la politica fiscale, che, a sua volta, “spinge” il debito pubblico – oramai a $ 34.000 MD, circa il 125% del PIL), è altresì vero che oggi le quotazioni più interessanti sono quelle europee. Secondo alcuni esperti, le quotazioni UE, infatti, “viaggiano” a sconto di circa il 35% rispetto a quelle americane, una percentuale che si è vista raramente. Il che significa che le quotazioni americane stanno raggiungendo livelli piuttosto elevati: va detto, però, che in buona parte sono dipese dai rialzi record ci pochissimi titoli (6, se non 5, visto che il 7° dei “magnifici 7” (Tesla) si è, per il momento, “perso” per strada), il che potrebbe lasciar spazio ancora ad un settore (quello delle small e mid-cap) che, ad oggi, sembra essere rimasto ancora al palo.
C’è, però, un elemento che, più di altri, potrebbe significare un “alert”: il rendimento dei Treasury è oramai sul livello del premio di rischio della borsa USA. Il decennale USA “viaggia”, infatti, al 4,3%, non lontano dal 4,7% del rendimento dell’indice di borsa. Questo significa che chi investe in una “strategia free-risk”, come è considerato l’investimento nel debito della prima economia mondiale, è “certo” di portare a casa “un rendimento” di poco inferiore a quello che potrebbe essere il rendimento ottenuto, invece, perseguendo una strategia che qualche rischio lo ha, soprattutto su questi prezzi. Motivo per cui potrebbe iniziare una fase coì detta “laterale”, vale a dire in cui i prezzi non hanno una direzione precisa.
Riaprono oggi, dopo la pausa pasquale, i listini europei, anticipati, ieri, da quelli USA (Nasdaq + 0,21%, Dow Jones – 0,60%).
In Asia, il Nikkei si avvia a chiudere in leggerissimo ribasso (– 0,2%), mentre l’Hang Seng di Hong Kong è in rialzo del 2%. In Cina, dopo un avvio positivo, la borsa di Shanghai arretra dello 0,4%.
Futures intorno alla parità (leggermente negativi quelli Usa, mentre in Europa si intravedono sei segni verdi).
Balzo del petrolio, con il WTI che tocca i $ 84 (84,32, + 0,61% questa mattina).
Gas naturale Usa a $ 1,846 (+ 0,27%).
Oro sempre più in alto, al record storico ($ 2.274, + 0,70%).
Debole lo spread, che torna a 140 bp.
BTP al 3,67%.
Bund 2,29%.
Treasury Usa al 4,30%.
Si rafforza il $, che scambia a 1,0727 verso €.
Altalena per il bitcoin, passato in pochi minuti da $ 71.000 a $ 67.625.
Ps: tutti, in questi giorni (giustamente) ad osannare Jannik Sinner dopo il trionfo di Miami che lo ha portato, primo italiano di sempre, al n. 2 al mondo (per ora…) o Van der Poel per la sua terza vittoria al Giro delle Fiandre, una delle 5 “gare monumento” del ciclismo. Quasi nessuno, invece, a parlare delle nostra Elisa Longo Borghini, che, sempre al Giro delle Fiandre, ha rivinto, a distanza di 9 anni (era il 2015).